La metodologia sismica HVSR (Horizontal to Vertical Spectral Ratio) permette la misura del rumore sismico ambientale, che è presente ovunque sulla superficie terreste. Esso è prodotto dai fenomeni naturali (perturbazioni meteoclimatiche, microterremoti, ecc.) e dall’attività antropica.
Il rumore sismico ambientale viene anche chiamato microtremore poichè costituito da oscillazioni di piccolissima ampiezza, se confrontate con quelle associate ai terremoti. La denominazione di “sismica passiva” dipende dal fatto che il rumore non viene generato artificialmente, come nelle energizzazioni della sismica attiva, ma è presente naturalmente.
A questo comportamento spettrale di “fondo”, sempre presente in varia forma e soggetto a scarsissima attenuazione, si sovrappongono le sorgenti locali dovute alle attività antropiche (traffico stradale, macchinari, ecc.). L’effetto di queste sorgenti locali è soggetto ad attenuazioni tanto maggiori all’aumentare della frequenza e dovute all’assorbimento anelastico, associato all’attrito interno delle rocce e dei terreni.
La metodologia HVSR, introdotta da Nakamura (1989), permette la determinazione delle frequenze di risonanza dei terreni e la stima dell’amplificazione sismica locale, elementi di grande utilità per l’ingegneria sismica. La frequenza fondamentale di risonanza (F) dello strato di terreno n è data dalla formula:
Fn = Vs/4H
dove: Vs è la velocità media delle onde di taglio nello strato n; H è lo spessore dello strato n
Teoricamente questo effetto è sommabile cosicché la curva HVSR mostra come massimi relativi le frequenze di risonanza dei vari strati. Esse, insieme ad una stima delle velocità, permettono di fornire previsioni sullo spessore H degli strati. Viceversa, nota la stratigrafia è teoricamente possibile fornire una valutazione approssimativa della velocità delle onde S nei singoli strati.
Modalità esecutive
Lo strumento impiegato per lo scopo è un apparecchio a stazione singola (Moho Tromino®), dotato di tre canali velocimetrici elettrodinamici ad alta risoluzione, per l’acquisizione del microtremore sismico ambientale, fino a circa ± 1,5 mm/s. In pratica si tratta di un sismometro a tre componenti (due orizzontali e una verticale), mediante il quale è possibile giungere alla definizione del rapporto fra le ampiezze spettrali medie delle vibrazioni ambientali.
I sensori sono disposti secondo le tre direzioni ortogonali (terna x, y e z) e, smorzati criticamente, trasmettono il segnale ad un sistema di acquisizione digitale a basso rumore, con risoluzione non inferiore a 24 bit.
L'apparecchio, mediante i 3 velocimetri, acquisisce dunque tre modi di vibrazione diversi, che possono venire poi confrontati e ricostruiti in una curva che esprime la differenza dei movimenti orizzontali rispetto ai movimenti verticali, espressa come amplificazione. Le misure acquisite sono poi campionate in una finestra temporale (time window); su queste finestre viene effettuata una trasformazione di Fourier (FFT) in modo da ottenere una rappresentazione grafica con asse x in Hertz (Hz) ed in asse y il fattore di amplificazione delle misure orizzontali, rispetto a quelle verticali.
Ogni picco osservato nel grafico H/V corrisponde pertanto ad una frequenza fondamentale del sito. Frequentemente ne è presente uno solo, ma più contrasti di impedenza sismica, a profondità sensibilmente diverse, ne generano altrettanti.
- Valori spettrali delle componenti N-S, E-W e verticale -
- Curva H/V, determinata dal rapporto fra le tre componenti spettrali -
In caso di sollecitazioni sismiche qualora la frequenza di risonanza del sottosuolo coincidesse con quella di una data struttura, può aversi un fenomeno di accoppiamento fra le due modalità di vibrazione (quella del sottosuolo e quella della struttura), da cui deriverebbe un grande aumento della sollecitazione sugli edifici. Per questo motivo l’amplificazione sismica è oggi considerata la prima causa dei danni indotti dal terremoto. Inoltre è ben fondata l'ipotesi che un cambiamento sensibile dei modi principali della struttura sia legato al danneggiamento o all’alterazione della struttura stessa.
Infine, riguardo la stima della velocità di propagazione al suolo delle onde di taglio, Castellaro e Mulargia (2009) hanno dimostrato che si può determinare, con una precisione confrontabile con quella di altri metodi, la velocità media (armonica) delle onde sismiche, fino ad almeno 30-50 metri di profondità.
- Un esempio di modello 1D di terreno, rappresentativo dei sismostrati -
La sovrapposizione, secondo Castellaro, è possibile ed univoca solo se la curva è agganciata ad una discontinuità sismica, la cui profondità è nota con altri metodi (indagini sismiche o geologico-geotecniche, quali carotaggi in sito, prove DPSH o CPT od anche pozzetti esplorativi). In tal caso in presenza di un picco di risonanza ben individuato e nota la profondità del riflettore che dà la risonanza, è possibile ottenere una stima di massima della velocità media delle onde di taglio delle coperture. La curva viene modellata tramite le equazioni del modello 1-D di sottosuolo, nella formulazione Thomson-Haskell-Dunkin (trattato in Ben-Menahem & Singh, 1981, Seismic waves and sources) con un codice di calcolo proprietario (Moho Grilla®).
Il processo del software è iterativo e attraverso piccole modifiche di profondità e velocità rende possibile "fittare" ovvero modellare la curva teorica in modo da seguire la curva acquisita in campagna, ottenendo le velocità e gli spessori degli strati successivi.
La prova di carico su piastra (la prova PLT) è senza dubbio uno dei metodi d'indagine che meglio permette di simulare il comportamento di un terreno sollecitato da un carico e che con maggiore attendibilità è in grado di fornire informazioni riguardo il rapporto carico/cedimento, il modulo di deformazione del terreno, nonchè il valore del coefficiente di sottofondo, ossia il coeff. di Winkler.
Essa è perciò una prova particolarmente indicata per valutare lo stato di costipamento di una pavimentazione stradale (lo stesso dicasi per superfici di piazzali, piste di transito di mezzi pesanti, aree a parcheggio, ecc.), così come si presta piuttosto bene a fornire indicazioni circa la deformabilità e la portanza dei terreni di fondazione, a patto che si tenga in debito conto l'effetto scala, della prova stessa.
Come accennato fra le applicazioni più frequenti del metodo vi è senz'altro quella di testare il sottofondo stradale e la sua rispondenza ai requisiti di progetto. Nella pratica ciò si traduce nel sottoporre a verifica di costipamento un qualsivoglia sottofondo, appena sottoposto ad operazioni di rullatura, vibrocompattazione, ecc., con l'intento di verificare il raggiungimento dei requisiti prestazionali attesi.
La prova è di rapida e semplice esecuzione: si tratta per lo più di disporre di una superficie di prova debitamente rullata e regolarizzata, sulla quale la piastra (comunemente del diametro di 300 mm, ma anche di diametri decisamente superiori) possa aderire nel modo più uniforme possibile. Il carico, trasmesso tramite un martinetto idraulico, sarà applicato alla piastra sfruttando una massa di contrasto, comunemente data da un macchinario pesante (trattore, escavatore, autocarro, ecc.).
La durata della prova è piuttosto limitata. In pratica considerando il tempo necessario per l'installazione di tutti gli elementi (piastra di carico, martinetto idraulico, asta porta comparatori e comparatori centesimali), oltre al tempo richiesto per i vari gradini di carico, l'iter di misura si risolve in alcune decine di minuti. Ciò rende possibile procedere con l'esecuzione di un congruo numero di prove, nell'arco della stessa giornata.
Considerato che l'utilità della prova PLT risiede proprio nella possibilità di ripetere la misura sul maggior numero di punti possibile, ben si comprende che essa sarà tanto più in grado di testare il sopraggiunto assestamento del sottofondo quanto maggiore sarà il numero di siti da caratterizzare. Ciò è reso possibile anche dai limitati costi del metodo.
Al termine della sessione di prove, per ciascun test viene redatto uno specifico certificato di prova, nel quale sono forniti:
- il Modulo di deformazione Md, sia per il primo che per il secondo ciclo di carico;
- il Modulo di deformazione E';
- il Modulo di taglio dinamico G.
Una serie di geofoni, in grado di fornire una registrazione della propagazione delle onde di superficie |
Una sorgente sismica, costituita da una comune massa battente di adeguato peso (circa 10 kg o superiore) |
Un sistema di registrazione del segnale sismico, individuato in corrispondenza di ciascun geofono |
Lo schema di acquisizione, rappresentato nella figura sottostante, illustra il principio di funzionamento del metodo.
La presenza dell'operatore sul posto è alquanto limitata, dato che per l'acquisizione occorre circa un'ora, compresi tutti i tempi necessari alla posa degli strumenti di misura. Il resto, ossia l'elaborazione dei dati acquisiti, avverrà invece in ufficio.
Possiamo parlare di un duplice vantaggio:
Riguardo quest'ultimo punto va pertanto evidenziato che il metodo ha il pregio di definire non solo la velocità equivalente delle onde di taglio per i primi 30 metri dalla superficie, ma consente anche di riconoscere, per questo intervallo di profondità, una sequenza di orizzonti sismici con caratteristiche assimilabili, solitamente riconducibili a porzioni di sottosuolo omogenee e distinte da quelle sopra e sottostanti.
Ciò si traduce in un indubbio vantaggio in tutti i casi dove, preliminarmente a qualsiasi operazione di scavo, possa risultare necessaria la localizzazione di orizzonti a comportamento scadente, oppure per fornire indicazioni sulle profondità ottimali per l'intestazione di strutture di fondazione, od anche per individuare le profondità di scavo, per operazioni di bonifica su terreni scadenti.
Fasi di cantierizzazione |
Punzonatura della camicia del pozzo |
Definizione progettuale del tratto da ricondizionare |
Ormai dal 2001, col Decreto n. 4/R, la Regione Piemonte stabilisce le verifiche e i controlli, a carico dei proprietari dei pozzi, atti a riscontrare la presenza o meno di condizioni di miscelazione di acque diverse.
Nei casi in cui tale miscelazione abbia luogo (pozzi con filtri sia in falda freatica, sia in falda profonda) occorre presentare, all'Ente di controllo (la Provincia), un progetto di ricondizionamento dell'opera di presa, che preveda il solo prelievo delle acque dalla prima falda, oppure solo dalla falda profonda.
Non ultima la possibilità di rinunciare definitivamente alla concessione, predisponendo un progetto di chiusura, attraverso la completa cementazione della colonna pozzo e della sua intercapedine drenante.
Naturalmente la scelta fra salvare il pozzo, accettando di chiudere i filtri sopra o quelli sotto la base dell'acquifero, piuttosto che abbandonare definitivamente l'opera, spetta alla proprietà, valutati i vantaggi economici dell'una o dell'altra opzione.
A parere di chi scrive l'opzione di rinuncia al pozzo e la sua sigillatura dovrebbe essere considerata sempre come "l'extrema ratio", dato che la disponibilità di un pozzo costituisce quasi sempre un valore aggiunto a favore del terreno, dello stabilimento o di una qualsivoglia proprietà. Non vanno infatti dimenticati i costi elevati per una nuova perforazione, così come non vanno assolutamente trascurati i tempi e gli adempimenti burocratici per giungere alla sua autorizzazione. In altre parole se già se ne dispone, meglio tenerselo, per lo meno con l'idea di vendere il terreno o la struttura con un plus.
All'atto pratico cosa occorre fare?
L'ente di controllo (la Provincia) trasmette al proprietario del pozzo una richiesta di verifica dello stato di consistenza dell'opera. In altri termini viene richiesto di controllare che, in relazione alle caratteristiche costrutive del pozzo stesso e ai caratteri geologici e idrogeologici del sito, vi siano o non vi siano i presupposti per la messa in comunicazione delle acque da falde diverse.
Il Geologo (scelto dal proprietario dell'opera di presa) verifica, anche attraverso videoispezioni in pozzo (se necessarie), lo stato di conservazione dell'opera (presenza di ostruzioni, sfondamenti delle pareti del pozzo, insabbiamenti, ecc.), il suo schema di completamento (posizione dei filtri, tipo di dreno impiegato, ecc.) e la stratigrafia del sito.
L'obiettivo finale è quello di esprimere un parere circa la corretta esecuzione del pozzo (in caso di assenza di comunicazione fra falde distinte) o, in caso contrario, proponendo (in accordo con la proprietà) il ricondizionamento dello stesso, redigendo quindi un progetto apposito.
Per facilitare il compito, circa l'individuazione della base dell'acquifero superficiale, la Regione fissa i criteri tecnici per la sua identificazione, ossia la quota alla quale si localizza il livello impermeabile (terreni argillosi, limoso-argillosi ecc.).
Tali criteri vanno considerati vincolanti e solo nei casi debitamente motivati dai diretti interessati, possono essere adeguati alle circostanze locali, previa accettazione da parte dell'Ente di controllo.
A ricondizionamento completato l'intera documentazione progettuale e di fine lavori verrà trasmessa alla Provincia, per il nulla osta finale. Il ricondizionamento, nella maggior parte dei casi, determina anche la riduzione del canone di prelievo, dato che non si andrebbe più ad emungere anche dalla falda profonda. Ciò significa che il canone si ridurrà ad un terzo dei costi ante ripristino, con buon vantaggio della stessa proprietà.